La colpa dei maiali e la Germania smemorata

In questa estate arroventata dalle temperature, dai mercati sull’ottovolante e forse dallo scampato pericolo di una tempesta globale perfetta, per parafrasare il guru dell’economia Nouriel Roubini vale la pena soffermarsi sulla lettera dell’imprenditore Gianni Bulgari al direttore di La Repubblica pubblicata venerdì scorso.

Bulgari sottolinea il fatto che la moneta unica, nata per accelerare l’integrazione europea, ne sta provocando la disgregazione, cosa che trova d’accordo non pochi. Sebbene Mario Draghi abbia dichiarato recentemente l’irreversibilità dell’euro e che non c’è rischio di un’esplosione (o implosione) dell’unione monetaria, il peccato originale con cui la moneta senza Stato deve fare sempre i conti è duplice: è stata introdotta in Paesi con economie divergenti e non è stato previsto dai trattati un piano B di uscita.

Un ruolo chiave in questo travagliato periodo è svolto dalla crisi dei debiti sovrani, dove i numeri sono di per sé significativi se raffrontati fra di loro.

Secondo le ultime proiezioni della Commissione Europea, nel 2013 nove economie avranno un debito pubblico oltre l’80% del PIL (Grecia, Italia, Portogallo, Gran Bretagna, Francia, Spagna e – udite, udite – la Germania, la prima della classe, il cui debito reale batterà quello dell’Italia, raggiungendo l’esorbitante cifra di 2.082 miliardi contro i 1.988 miliardi del debito nostrano), mentre il FMI stima che il debito degli Stati Uniti  balzerà al 113% e quello del Giappone ha già raddoppiato la ricchezza nazionale prodotta.

Tuttavia nessuno di questi due ultimi Paesi si trova sull’orlo del baratro come invece accade per l’Europa. Su questa situazione incide non poco il “doppiopesismo” della Germania che consente di fare agli altri quello che non vorrebbe fare per sé, come lo dimostra il rinvio alla Corte Costituzionale tedesca della questione di legittimità del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) e del fiscal compact, decisione su cui la Corte si doveva pronunciare a metà settembre.

Infatti, la smemoratezza storica è ciò che contraddistingue l’attuale leadership tedesca che sta trascinando l’intera Europa nel baratro. La Germania sembra essere colta dalla sindrome di Versailles quando è stata costretta a pagare sanzioni durissime essendo stata considerata l’unica responsabile del conflitto mondiale. Solo che questa volta sono i PIIGS al suo posto, mentre Berlino interpreta la parte del Clemenceu di turno che pretende non solo una riparazione dai Paesi periferici, ma una punitiva politica di austerity capace solo di rendere ancora più acuta la recessione in atto.

D’altronde, bisogna scomodare Nietzsche per capire la motivazione alla base di tale atteggiamento. L’autore di “Genealogia della morale” aveva sottolineato che la parola “debito”  (Schuld) è la stessa che viene usata per “colpa” e che i Paesi debitori sono definiti “Defizit-Sunder”, che in italiano sarebbe come dire “peccatori di deficit”. Insomma, come sempre, la colpa è del maiale (debitore) e non di chi gli dà da mangiare (le banche, che foraggiano il debito degli Stati per lauti interessi).

Buon Ferragosto a tutti

La lezione della MMT per uscire dalla crisi dell’eurodebito

In occasione del convegno tenutosi a Rimini dal 24 al 26 febbraio scorso Michael Hudson, economista americano  esponente della Modern Money Theory, denuncia il potere delle lobby finanziarie e propone una ricetta neokeynesiana per uscire dalla crisi del debito che attanaglia l’Europa. In poche parole, creare disavanzo, ovvero aumentare la spesa pubblica per sostenere consumi, investimenti e innescare il circolo virtuoso della crescita.

Contro la visione rigorista ancorata alle regole di bilancio di stampo tedesco che rischia di rendere ancora più acuta la recessione in atto, i rappresentanti della MMT propongono l’abbandono dell’euro, moneta nata con il difetto genetico di non avere un vero stato alle spalle, ed il default, come fece l’Argentina nel 2003, liberandosi dal fardello delle disastrose politiche neoliberiste capeggiate da Menem e dalle ricette del FMI degli anni ’90.

Questa incongruenza dell’euro è alla base della fortissima speculazione finanziaria che attualmente colpisce i paesi più deboli dell’Unione Europea – i cosiddetti PIIGS, Grecia, Irlanda, Portogallo, Italia e Spagna, secondo il professore di economia presso l’Università del Missouri nonché analista finanziario a Wall Street.

Senza l’ombrello di una banca centrale vera e propria, ovvero senza un “prestatore di ultima istanza”, i Paesi dell’eurozona devono ricorrere alle banche private per finanziarsi attraverso l’emissione di titoli, banche peraltro inondate da miliardi di euro della BCE al tasso irrisorio dell’1%.

Di questa vagonata di soldi nemmeno un euro finisce nell’economia reale, ormai strozzata dal credit crunch, nemmeno un euro in tasca a famiglie e imprese, rapinate del proprio futuro che stanno pagando lo scotto di questa crisi di sistema.