ASL, ovvero venga a prendere il caffé da noi

Venga-a-prendere-il-caffe-da-noiTutta la scena era da commedia all’italiana anni ’70: comica, tragica, grottesca.

La location è la sede dell’Anagrafe Sanitaria di una ridente località balneare ligure, molto apprezzata dai giovani per fare cicloturismo da mozzafiato nell’entroterra  e per le belle spiagge con tanto di “bollino blu”.

Ma siamo in Liguria, terra che avrebbe tutte le carte in regola per campare alla grande di turismo, manca però il bene prezioso della cortesia e dell’apertura mentale  nei confronti del “forestiero”.

Si sa, la torta di riso è sempre finita da questi parti, a qualunque ora tu arrivi, come nell’esilarante scenetta del trio comico Ceccon, Casalino, Balbontin.

Ed io ho pure l’accento latino, anche se sono una regolare cittadina italica, che paga le tasse e quindi lo stipendio degli impiegati della ASL dietro allo sportello iscrizioni, quei due, che in due, mi fanno il terzo grado, incominciando dal solito mantra: ‘ma lei è straniera?’, mentre sbuffanti, l’uno controlla la carta d’identità, l’altro, con un moto di stizza, mi attacca verbalmente, senza apparente motivo, perché dovrei essere in possesso non solo della tessera sanitaria ma anche del tesserino sanitario cartaceo, mentre io ho la grave colpa di non averlo e soprattutto di non aver capito all’istante cosa altro volesse da me questo occhialuto tizio dai capelli diradati e secchi come il suo carattere.

Ho un flash, la scena del film “Venga a prendere il caffè da noi”, quando un indimenticabile Tognazzi, nei panni di Emerenziano Paronzini, burocrate statale di Luino, vorace lettore della “Filosofia del piacere” del Mantegazza, nella metaforica scena a tavola, che rappresenta mirabilmente il suo rapporto a quattro  con le tre racchie e assatanate sorelle Tettamanzi, si accinge a mangiare la frutta e dice “di tre mele marce, ne faccio una buona”.

Solo che in questa ASL da due impiegati non si riesce ad avere un po’ di buona efficienza, magari condita con un po’ di buona educazione.

E la sanità, bellezza!

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Arrivo e mi trovo di fronte una mandria incappottata, seduta, compita ad aspettare il proprio turno per pagare il ticket, nell’atrio davanti allo sportello dell’ospedale.

Ticket schizzato alle stelle, mentre la qualità delle prestazioni sprofonda sempre più giù, come pure i disservizi, le lungaggini aggravate dai recenti tagli con l’accetta del governo “tecnico”, si fa per dire!

Salgo in ambulatorio e una specie di sguattera che sembra uscita da una bettola del Far West, chiede se puo’ aiutarmi. Capelli lunghi, sciolti, appiccicaticci, camice che esplode. Non mi voglio far guidare dalla prima impressione, non lo trovo giusto, né carino. L’intenzione era di parlare con l’altra infermiera che era al telefono. Giù si va alle calende greche e mi sembra giusto avvertire del mio ritardo.

Ritorno all’ingresso e trovo posto vicino al bar, da dove provengono effluvi davvero pestilenziali, bar la cui gestione é data a una delle tante cooperative di quelle che ci marciano sulla pelle dei malcapitati soci-schiavi-lavoratori.

Arriva il mio turno per pagare, l’atmosfera diventa surreale. L’operatrice smanetta al terminale dopo che le presento l’impegnativa. La mia visita non risulta, nonostante l’avessi prenotata ben oltre quattro mesi prima. La signora mi scruta al di sopra degli occhiali e dice di non preoccuparmi: inserirà la richiesta a mano.

Risalgo in ambulatorio ed entro con un ritardo di quasi “solo” due ore.  Mentre scendo trovo un’amica che lavora all’ospedale e che sbotta: ‘qua sta andando tutto a puttane’.

“Ma va!’ – le rispondo – “Non me n’ero accorta”.