L’altro giorno su “L’aria che tira” si parlava di giovani, lavoro e articolo 18, la discussa e fantomatica norma che impedirebbe i licenziamenti illegittimi nelle aziende con più di 15 dipendenti. Ma quanti lavoratori sono effettivamente tutelati da questa norma? Secondo le ultime stime dell’ISTAT, il tessuto produttivo italiano è composto per circa il 95% da imprese con meno di 10 dipendenti. Senza contare il variegato e sterminato mondo degli autonomi, delle finte partita IVA, dei contratti atipici e “flessibili”, degli stage gratuiti. Per non parlare della consueta prassi della frammentazione di aziende in sottosocietà con un numero inferiore di 15 dipendenti per evitare l’assoggettamento a tale norma.
“Il posto fisso è monotono e l’articolo 18 non è un tabu”, ha dichiarato Monti in una trasmissione televisiva, scatenando proteste non solo dei sindacati ma anche all’interno della maggioranza e di tutti quei lavoratori, la stragrande maggioranza, che vivono nella precarietà e nell’incertezza.
In un Paese “normale” la flessibilità può anche essere un vantaggio per agevolare l’inserimento nel mondo del lavoro o per far fronte a esigenze particolari delle imprese in periodi particolari. Invece, in Italia, la flessibilità è diventata precariato, sfruttamento, ricatto e, peggio ancora, il miglior modo per scaricare sui lavoratori il rischio d’impresa e le conseguenze di una crisi economica diventata sistemica.
Il dibattito sull’art. 18 è un finto problema, in quanto rappresenta una norma già lontana dalla realtà, che avanza inesorabilmente verso una precarizzazione del posto di lavoro con contratti penalizzanti per i giovani, a cui non solo vengono sbarrate le porte del credito ma che si troveranno ad avere una magra pensione.
La verità è che c’è chi il posto fisso non ce l’ha e non ce l’avrà mai. E c’è chi lo critica e che invece dovrebbe guardarsi bene dal farlo. Come la ministra Fornero, la cui figlia, Silvia Deaglio, classe 1974, insegna medicina all’Università di Torino, la stessa dove insegnano mamma e papà, e contemporaneamente è ricercatrice nel campo della genetica presso una fondazione privata. Doppio stipendio, certo, ma una monotonia che non ti dico.